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mercoledì 22 luglio 2009

Foggia come Montegrano, archetipo del familismo amorale

Il familismo amorale (Wikipedia) è un concetto sociologico sviluppato da Edward C. Banfield nel suo libro Moral Basis of a Backward Society (Le basi morali di una società arretrata) del 1958.
Descrive la tendenza tipica della cultura dell'Europa meridionale e dell'area mediterranea, secondo la quale gli individui di una comunità appartenente a tale cultura, obbediscono alla seguente regola di condotta: massimizzare unicamente i vantaggi materiali e immediati della propria famiglia nucleare, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo.
Banfield nei suoi studi sul campo, trae spunto di una piccola cittadina dell'Italia meridionale che egli chiama convenzionalmente “Montegrano", dietro cui, nella realtà, è adombrato il borgo diChiaromonte, piccolo centro della provincia di Potenza). Un nome fittizio che richiama però alla difficile realtà del Mezzogiorno d'Italia nel secondo dopoguerra, con vistosi tratti di arretratezza sotto il profilo economico e sociale.

(L'immagine sottostante è proprietà di Roberta Maria Stevan ed è quì utilizzata per sua gentile concessione. Questo il sito Web dell'autrice: www.matitarob.it) 





Il familismo sarebbe "a-morale" perché privo di morale pubblica, nel senso che i princípi e le categorie del Bene e del male rimangono, e vengono applicati, soltanto e unicamente nell'ambito dei rapporti familiari. L'amoralità non è quindi relativa ai comportamenti interni alla famiglia, ma all'assenza di ethos comunitario, all'assenza di relazioni sociali morali tra famiglie, tra individui all'esterno della famiglia. Secondo questa prospettiva quindi, ogni tentativo e iniziativa riguardante l’investimento di risorse ed energie in beni collettivi da realizzarsi tramite uno sforzo organizzativo comune e spontaneo, rimane fuori dall’orizzonte delle possibilità.

I familisti di Montegrano, non erano solo diffidenti verso i vicini, gli amici e verso qualunque forma di cooperazione, d’associazione e d’iniziativa pubblica, ma anche verso gli altri parenti che consideravano in competizione per l'acquisizione di risorse scarse.
Si tratta di un atteggiamento che è ispirato alla regola del «massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo» e che è quindi contrario al senso civico e rivelatore di una sfiducia nella collettività.

Come rileva la Signorelli (1983) – il particolarismo condiziona l’intera società italiana, opera a tutti i livelli della società. «La lealtà alla famiglia, al clan [...] alla clientela, alla fazione, alla mafia [...] se è più evidente nei villaggi del Sud, in realtà permea di sé tutto il sistema culturale e politico» (Alberoni, 1974, p. 470).

«Le ragioni storiche della divisione del lavoro tra le due discipline sono da ricercarsi in ipotesi essenzialmente evoluzionistiche circa la natura della società moderna; società ” semplici “/”primitive”/”poco sviluppate” erano viste come tipi di formazione sociale le cui strutture si fondavano su sistemi di parentela in contrapposizione alle società “complesse”, “avanzate” o “moderne” in cui la vita sociale era fondata sulla struttura di relazioni. economiche» (Harris, 1990, p. 13).

In un testo ricerca "Sulle tracce della società civile", l'autore Marcello Dei afferma che "l'esistenza di un tessuto di aggregazioni intermedie tra lo Stato e l'individuo, è il necessario contraltare della sindrome particolaristica...." e che "il potere statale democratico si legittima attraverso la lealtà istituzionale e la solidarietà... sul riconoscimento di comuni radici storiche, di comuni matrici etnoculturali..." mentre, "in condizioni di totale assenza di democrazia, il cemento sociale rappresentato dai valori civici non è necessario..." poichè "...a tenere insieme i sudditi, provvedono la mincaccia della coercizione, la manipolazione del consenso e i miti totalitari".

Sostiene altresì Roberto Cartocci: "... una delle condizione di una consapevole partecipazione dei cittadini alla vita democratica, consiste nell'esistenza di un presupposto di ordine culturale: un atteggiamento di appartenenza e di identificazione con la comunità/Stato inteso soprattutto come plebiscito quotidiano, vale a dire come orizzonte della moralità quotidiana che governa i rapporti con gli altri e con le istituzioni, al riparo da motivazioni strumentali ed opportunistiche..." e prosegue..."la nostra debolezza risiede nella insufficiente diffusione di quell'insieme di orientamenti che nascono da un senso di obbligazione morale liberamente vissuta che lega i cittadini alle istituzioni e i cittadini tra loro..".

Innestandosi sulla identità territoriale degli individui, lo spirito civico ne rispecchia le dimensioni e le qualità cosicchè, se l'una ha limiti angusti, l'altro sarà ottuso.

Secondo voi:
a) nella nostra città, siamo capaci soltanto di tessere "reti fiduciarie corte" che non oltrepassano i confini di "insiemi limitati"?
b) quello della nostra città è un civismo limitato, a scartamento ridotto che si manifesta come...??

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